domenica 17 aprile 2011

C'è un brutto clima in città...

C'è un brutto clima in città. La sentenza sul rogo di Torino della ThyssenKrupp è un pugno nello stomaco che divide, da' speranza e preoccupa al tempo stesso. Una sentenza destinata a cambiare tante cose e che spalanca le porte ai commenti di pancia, che non servono a niente. Ieri sono stato a camminare con i Volontari della Valnerina, per la valle santa di Francesco, fino a Cima d'Arme. E quando sali a "passo lento" sino a 1700 metri di tempo per raccogliere le idee né trovi parecchio. Ho letto i commenti nazionali (e non poteva essere altrimenti), troppo spesso tirati ad arte da una o l'altra parte, in un Paese come il nostro, troppo poco avvezzo a riconoscere il valore universale di valori condivisi, immerso fino al collo nel dualismo e nella contrapposizione. Certo, meglio dividersi tra Coppi e Bartali che sul valore della magistratura...ma tant'è. Prevalgono le posizioni di parte e rischiamo di perdere il senso vero del messaggio che viene dalla Corte di Assise di Torino, che stanno tutte nella frase finale con cui il PM Guarinello ha concluso il suo intervento: "credo che da oggi in poi i lavoratori possano contare molto di più sulla sicurezza". I fatti: al banco degli imputati, oltre all'amministratore delegato Harald Espenhahn, 45 anni di Essen, condannato per omicidio, c'erano anche Cosimo Cafueri, responsabile della sicurezza, Giuseppe Salerno, responsabile dello stabilimento torinese, Gerald Priegnitz, membro del comitato esecutivo dell'azienda, assieme a Marco Pucci, e un altro dirigente Daniele Moroni, accusati a vario titolo di omicidio e incendio colposi (con colpa cosciente) oltre che di omissione delle cautele antinfortunistiche. Per Gerald Priegnitz, Marco Pucci, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri, confermate le richieste dell'accusa: sono stati condannati a 13 anni e 6 mesi. Solo per Daniele Moroni la Corte ha aumentato la pena a 10 anni e 10 mesi, i pm avevano infatti chiesto 9 anni. È la prima volta che in un processo per morti sul lavoro gli imputati sono stati condannati a pene così alte. La società ThyssenKrupp Acciai Speciali Terni Spa, chiamata in causa come responsabile civile, è stata inoltre condannata al pagamento della sanzione di 1 milione di euro, all'esclusione da agevolazioni e sussidi pubblici per 6 mesi, al divieto di pubblicizzare i suoi prodotti per sei mesi, alla confisca di 800mila euro, con la pubblicazione della sentenza sui quotidiani nazionali.
Nel 2010 ci sono stati in Italia 980 morti sul lavoro: ancora un'enormità; un segno chiarissimo di una guerra che stiamo perdendo. La nostra città il suo tributo l'ha pagato tutto fino in fondo, ed è per questo, per il rispetto dovuto al dolore di chi ha perso tanto e che non siamo riusciti a difendere, impone cautela, responsabilità di giudizio e forse almeno 24 ore di silenzio e di riflessioni. Ho letto invece le dichiarazioni a caldo dei leader nazionali e quelle, più rare, della politica locale. Sdrucciolevole il terreno per chi vive nella Conca; non ci sarebbe molto spazio per slanci ideologici o peggio istinti di pancia, in bilico tra principi e timore per le sorti delle Acciaierie, in un confronto troppo impari con la multinazionale. Parto da questo, dalla sensazione di impotenza che ho provato tutte le volte che la città si è confrontata con questo sistema: arranca il Governo, qualunque sia. Pensate quali siano i pesi e le misure al tavolo con la Multinazionale ed il Territorio. Difficile, troppo difficile vivere la sensazione che le sorti di una fabbrica, cuore e motore di un intero Territorio, sfuggano al minimo controllo della città e di chi la rappresenta, ma siano oggetto di decisioni lontane, prese spesso con "la cinica illogica" del 2000, in mitologici consigli di amministrazione, che rimbalzano a Terni senza darci la certezza di lungo futuro. Sappiamo di essere i più bravi del mondo a fare l'acciaio, ma è proprio questo il paradosso: non conta niente. Fino a qualche anno fa, la qualità, la professionalità, l'intuizione, la generosità e l'esperienza dettavano luoghi e fortune per le industrie. Poi siamo usciti dal "potere del manufatto" e siamo entrati di slancio in quello volatile delle multinazionali, che spostano con un click capitali, storie e fortune da un Paese all'altro, in questo regresso imbarazzante in cui si ricerca il profitto sulla pelle di popolazioni nel mondo ferme ai primi del '900 per diritti dei lavoratori, sicurezza sul lavoro e redditi pro-capite. Mi fermo qui, solo per dare lo scenario complicato in cui si muovono le Istituzioni locali, a partire dal Sindaco di Terni, che stamattina ricalibra meglio le argomentazioni del commento a caldo di ieri (leggere la lettera sul Giornale dell'Umbria). Del PDL non parlo; troppo ghiotta l'occasione per stigmatizzare la presunta parzialità della magistratura che i nostri genitori, e prima i loro padri, ci hanno insegnato sempre a rispettare Quale migliore occasione per gridare allo scandalo? Troppo prevedibili, immersi fino al collo in una guerra imposta dal leader maximo, tutta rivolta ad interessi personali. Ma, per non essere ipocriti, capisco i commenti di Di Girolamo di fronte alla sentenza: da ieri siamo l'unico paese in Europa ad avere accettato il principio dell'omicidio volontario in caso di morte sul lavoro, forse la Corte d'Assise torinese ha deciso sotto la pressione dell'opinione pubblica e le pene accessorie imposte alla Thyssen rischiano di far saltare il banco rispetto ad un equilibrio fin troppo precario, e che si trasformino nell'ennesimo pretesto per...delocalizzare. Se questa sentenza spingesse l'Europa sulla stessa strada sarebbe un'altra cosa, ma nella disgregazione in atto, in cui non si solidarizza neanche più il peso di drammi umanitari e di profughi, non si aprono scenari tranquillizzanti nella competizione fra Stati del vecchio Continente. Non culliamoci: anche questa sentenza verrà utilizzata per far pesare le localizzazioni degli impianti nella vecchia Europa. Deve aver fatto questo ragionamento chi ha parlato di "sentenza ingiusta", preoccupato che un segnale fuori misura e sporporzionato ci possa portare dritti dritti di fronte allo spettro di una crisi mortale per un territorio aggrappato coi denti alla sua valenza industriale. E il rischio sembra esserci, proprio per lo stesso motivo per il quale essere i migliori del mondo non conta poi molto..."Evitare che all'ingiustizia della tragedia per le vittime, al dolore delle loro famiglie, si sommi l'ingiustizia per le migliaia di lavoratori dell'azienda, e per tutto l'indotto", scrive stamani il Sindaco. Non mi sento di stigmatizzare questa posizione, soprattutto se guardo alle pene accessorie , ma francamente non sarei partito da questa considerazione, anche volendo tutelare la città da una crisi che speriamo non ci troveremo ad affrontare. Ci saranno altri gradi di giudizio; così come è certo che non se ne troveranno molti a Torino, a partire dai candidati a Sindaco, disposti a non seguire l'onda dell'opinione pubblica. Cosa diversa è l'approccio di chi, fra i sindacati e i partiti fortemente ideologizzati, gioca a cavalcare la tigre...ma questa è un'altra cosa su cui non voglio ragionare: siamo nel campo degli ultras, un terreno in cui mi muovo davvero male. Ma non è un'enormità accettare il principio dell'omicidio volontario in materia di lavoro, anche se ci sono state delle omissioni nella sicurezza? E' questo che si chiedono in tanti: significa che la morte non è avvenuta per sbaglio ma perché un'altra persona l'ha voluta. Nel caso Thyssen però aspettiamo la pubblicazione delle motivazioni, ma è evidente che le pene sono molto pesanti. Da oggi i responsabili legali delle aziende cosa devono temere in caso di incidente sul lavoro o morte bianca? Cosa cambia? In realtà le grandi aziende non hanno nulla da temere perché si assumono costi rilevanti per garantire la massima sicurezza. E ci sono regole precise per tutelare l'integrità dei lavoratori. Se tutto ciò viene seguito non c'è nulla da temere. Anche se indubbiamente potrà esserci molta tensione e nervosismo in più. Di fatto però si è stabilito il principio che in caso di smagliatura nella rete della sicurezza, il responsabile possa essere indiziato di omicidio volontario. Ecco, secondo me è questo il punto più importante: negli ultimi anni, parlando con tanti amici che lavorano nelle fabbriche, ho percepito il filo subdolo e sottile di una sorta di ricatto, per il quale troppo spesso non si denunciano i problemi di sicurezza per paura che gli impianti ed i reparti si blocchino. Beh, questo non lo possiamo proprio permettere e la sentenza di Torino ci da una mano in questo senso. Ora occorrerebbe impegnarsi affinchè che questa battaglia a tutela dei lavoratori, in un Paese maglia nera in Europa per le morti bianche, approdi in Europa, magari con la nostra spinta e ci faccia fare un doveroso passo in avanti comune; ma per come stiamo messi in Italia oggi, temo proprio che sarà complicato... A ben guardare, la preoccupazione strisciante degli operai dell'Ast non deve indurre a pensare che si tratti di cinismo personale o peggio di irresponsabilità; sembra un paradosso: da una ventina d'anni i lavoratori si mettono quotidianamente nei panni del management, non possono fare altrimenti dopo che hanno difeso in prima persona il loro posto di lavoro, interpretando tutti i segnali e cercando di sopravvivere ad un modello economico che li schiaccia. Non voglio credere che la sentenza possa scaricarsi sullo stabilimento di Terni, sugli investimenti presenti e futuri, sul rapporto con la Multinazionale.
Continueremo a fare di tutto per dimostrare di poter mantenere la nostra grande industria, ma è innegabile che gli operai entrati oggi in fabbrica, si sentano meno soli. Ed è da qui che dobbiamo ripartire, senza dividerci, che il momento è difficile. Non c'è da indossare casacche di chi tutela il padrone e di chi lo attacca: quelle sono categorie finite per sempre, e da parecchio. Ripartiamo dal valore della vita, dalla persona. "...Mai le nuove realtà, investendo con forza nei processi produttivi, quali la globalizzazione della finanza, dell’economia, dei commerci e del lavoro, devono violare la dignità e la centralità della persona umana né la libertà e la democrazia dei popoli. La solidarietà, la partecipazione e la possibilità di governare questi radicali cambiamenti costituiscono, se non la soluzione, certamente la necessaria garanzia etica perché le persone ed i popoli diventino non strumenti, ma protagonisti del loro futuro..."; con queste parole Giovanni Paolo II si rivolgeva ai lavoratori, in occasione del Giubileo (ho citato Papa Wojtyla proprio perché anche i laici hanno saputo cogliere la portata del suo messaggio).
Ecco, io parto da qui, dal valore per la vita umana, dal doveroso rispetto e dalla fine dell'ambiguità per la quale, ogni volta che c'è un incidente sul lavoro, non si capisce mai di chi sia la responsabilità ed alla fine è sempre il lavoratore a rischiare di avere danno e beffa insieme. Per questo se, in questo mondo infame, riusciamo a dare non tanto un valore morale (che non ci credo più) ma almeno un valore economico alle vite umane, forse riusciamo a tornare sul giusto binario. Non sarà di certo la condizione etica migliore, non farà tornare a casa quei ragazzi, non lenirà il dolore delle famiglie e non appagherà il nostro senso di impotenza, ma almeno si potrà partire da un punto: non può essere solo colpa del lavoratore o del fato se in Italia viaggiamo ancora sui 1000 morti sul lavoro l'anno. Questa sentenza servirà a tutto il mondo dell'industria italiana (soprattutto quella più piccola), non cadiamo nell'egoismo di sentirci il centro dell'Universo: se non altro per rispetto ai nostri morti, che sono stati tantissimi. E soprattutto non giochiamo a delegittimare la magistratura ed il suo operato: è su questi pilastri che si basa la nostra società, abbattuto anche questo, il castello viene giù, ed a quel punto si torna dritti dritti alla tutela del più forte, del più ricco, del più potente, in barba a tanti secoli di lotta per i diritti e per l'uguaglianza. Ma questo, per la verità, è tutto un altro ragionamento...

5 commenti:

  1. difficile commentare una sentenza destinata a fare epoca. Speriamo solo, come dici tu, che l'Europa riesca a cogliere l'importanza e si attrezzi di conseguenza, Ma anche io la vedo difficile.Speriamo che non ci siano ripercussioni per le Acciaierie.

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  2. Hai proprio ragione: la portata della sentenza è tale che si sarebbe dovuto attendere almeno un giorno per replicare. 24 ore di riflessione silenziosa e responsabile. Invece anche stavolta c'è stata la corsa al commento a caldo. E in molti hanno perso l'ennesima occasione per tacere.

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  3. Non vorrei essere fraintesa, ma questa sentenza che in troppi chiamano "esemlare" a me non sembra giusta. Certo, se penso al dramma delle famiglie che hanno perso un caro per un incidente sul lavoro, assume un rilievo di giustizia e di "risarcimento" Ma la legge si fa fuori dalla logica soggettiva. E questa di Guarinello mi sembra davvero una sentenza figlia della pressione mediatica. Film, documentari, spettacoli teatrali, mostre...
    Che dire? Speriamo che almeno serva per il futuro (anche se ho i miei dubbi). Francamente, da mini-imprenditrice, dopo questa sentenza sono ancora più in dubbio.

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  4. Certo che 1000 morti sul lavoro all'anno danno il senso di quanto siamo ritornati indietro.
    Speriamo che questa sentenza contribuisca a ridurre questa strage, ma temo proprio che i problemi maggiori non siano nelle grandi fabbriche, ma nelle realtà piccole e piccolissime.

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  5. Tra una sentenza ingiusta ed una esemplare ci dovrebbe essere almeno un grado medio: una giustizia giusta.
    Non vorrei sbagliarmi, ma accusare il manager di omicidio volontario mi sembra una cosa assurda. Non vorrei fare il bastian contrario, ma credo proprio che sarà uno di quei casi in cui si ottiene l'opposto di quello a cui si pensa.

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