Questa, per me, è la foto
dell'anno. Un anno intenso, vissuto come sempre in altalena, in cui sono
riuscito a far stare dentro tutto, a partire dai miei cuccioli. Certo, senza Daniela non ce
l'avrei mai fatta: è lei il centro del mio Universo e come faccia a fare tutto
quello che fa, per me, rimane un mistero. Sono partito "in cammino" e
sono arrivato di corsa. Per fortuna che c'è la tigna della Conca che mi
sostiente...Dedico la foto a quelli (e sono sempre troppi) che m'hanno
detto: "ma non ce la farai mai! Che fai, adesso ti metti a correre? Corri
Forrest, corri..." Qui sto tagliando il traguardo della Maratona di
Atene, insieme a Stefano, o
meglio, Zatopek; uno
accanto all'altro. Insieme ci siamo macinati qualcosa come 3500
km in 365 giorni, ma l'ingresso nel mitico
Panathinaikos gremito di gente festante vale da solo tutte le suole che ho
consumato. La mia espressione dice tutto. L'audio non c'è, ma l'urlo è stato
grande e tutte le delusioni accumulate si sono fatte piccole piccole,
schiacciate sotto il peso di una corsa dura ed unica. Al mio amico
Stefano, che con me ha condiviso finora tutte le follie di questo anno "di
corsa" dedico la gioia di quel momento unico, per tutte le volte che avrei
voluto smettere e lui m'è venuto a prendere sotto casa e per tutte le volte che
avrebbe mollato lui ed io l'ho martellato fino allo sfinimento perché non si
fermasse. Sono passati molti mesi dall'ultimo mio post, avrei voluto
ricominciare a scrivere ma non ho trovato lo stimolo giusto. Ecco, riprendo dal racconto confuso di queste 3 ore e 55 minuti che troverete sotto alla foto... Perché le emozioni, quelle
più intense, è giusto condividerle.
E' buio in Piazza del Parlamento; niente guardie con
quei buffi zoccoli di legno ma tantissima gente in fila; qui, solo qualche
giorno fa, ululavano le sirene e fiammeggiavano le molotov: stamattina
c'è silenzio e le ombre infagottate nelle tute si muovono danzando agili sulle
scarpette coloratissime. E' buio nel pullman; Stefano mi siede accanto,
ma non parliamo. Io penso a Daniela, che ho lasciato a dormire in albergo, ai
miei cuccioli in Italia e penso alla fatica che mi aspetta, ma la voglia di
scendere e muovere le gambe, dopo tanti mesi di allenamenti, è grande. E' buio
nel pullman; fuori scorre la periferia di Atene: mi piace leggere i cartelli,
mi riporta ai tempi del liceo: con le maiuscole, però, c'ho problemi... Mi
guardo intorno: volti tirati e pronti che vengono da tutto il mondo ed io, con
la mia bella e fiera scritta Italia sulle spalle della tuta, mi sento piccolo
piccolo. L'autista prova a mettere un pò di musica, ma piano piano: lo sa
che tanto ognuno segue soltanto il filo dei suoi pensieri. Albeggia appena a
Maratona e mentre scendo e mi perdo nel fiume di corridori che si avvicina al
punto di ritrovo, guardo lontano, lungo l'orizzonte delle colline: ho i brividi
addosso, ma non è il freddo. Migliaia di passi sul selciato ed i ragazzi greci
che ci salutano sorridenti, porgendoci bustoni di plastica per ripararci
dall'aria pungente del mattino. Il mare multicolore rotola al centro della
pianura, ognuno coi suoi riti, coi suoi colori, coi suoi pensieri. Io cerco di
immaginare come sia stato anni fa, tanti anni fa, quando da quelle colline sono
spuntati urlanti migliaia di Persiani, che in fondo, se siamo qui, è per
ripercorrere le orme di Filippide, magari senza scudo ed armatura, ma sempre
per annunciare la vittoria contro la fatica, contro la distanza, contro i propri limiti...
Di colpo spunta il sole ed è come
l'inizio dello spettacolo. Parte il vocio, prima sommesso, poi sempre più
forte: scattano i sorrisi, la tensione si scioglie e comincia la festa. Ci
guardiamo confusi con Stefano: chi li ha visti mai tanti corridori tutti insieme.
E' inutile che ci prendiamo in giro: siamo tesi. Guardo Stefano che si toglie
la tuta e mi dice che è freddo: niente paura amico mio, c'ho pensato io. Con
indosso le nostre due candide tute da imbianchino, quelle di carta con tanto di
zip, facciamo la gioia di un gruppo di giapponesi fotografanti: sembriamo
arrivare direttamente da una centrale nucleare, ma il freddo non passa ed a
guardare gli altri avvolti nei sacchi dell'immondizia ci sentiamo i più tecnici
e ricchi della compagnia. Ci avviciniamo alle gabbie di partenza, il nostro è
il terzo blocco. Gli "elite", i negretti volanti, li vediamo solo un
attimo, mentre si stanno riscaldando lungo la pista di atletica accanto alla
partenza. Stefano me lo chiede pure se voglio scaldarmi, ma un pò di stretching
avanza: c'avremo 42
km e passa per scaldarci a dovere... Gli
altoparlanti sparano musica a tutto volume e l'adrenalina sale. Mancano pochi
minuti, ci spogliamo ed entriamo al nostro posto. Siamo sulla linea di partenza
della Maratona da cui tutto è cominciato, e so che anche il vecchio Zatopek
c'ha i brividi, anche se non lo dice. Non ce n'è bisogno. Fuochi d'artificio,
il primo colpo di pistola ed il nostro blocco scorre avanti. Ancora fuochi,
ancora la pistola dello starter e...tocca a noi. Schiaccio il tasto del
cronometro, che i tempi, per le corse lunghe, li tengo sempre io. La strategia
è chiara: arrivare bene alla fine, divertirsi e far vedere la scritta Italia
sulle spalle della nostra maglietta a più corridori possibile. Corro in tranche
per i primi 5
km, parlando con Stefano tutte le volte che posso:
scandisco velocità e tempi, ma siamo contratti. Lo spazio è poco e ci teniamo
su un lato, pronti a scattare appena ci saranno i primi spazi. " E'
caldo Riccà!" Stefano ha ragione, col sole in faccia, bassi nella vallata
di Maratona, la temperatura sale subito verso i 20 gradi e si arranca il
giusto. Non sono abituato a vedere ali di folla che sfilano lungo le transenne,
che salutano e battono le mani. I primi chilometri mi spiazzano ed a vedere il
sorriso di Stefano, capisco subito che anche lui schiaccia a fatica giù nello stomaco
un'emozione forte. Poi, di colpo, il gruppo si allunga: è il momento. Guardo
Stefano e lui mi fa cenno di sì, così accelero e ci portiamo veloci e leggeri
verso il traguardo dei primi 10
km. I bambini allungano le braccia tra le transenne per
stringerci le mani e Zatopek non si risparmia: dà "cinque" a tutti,
incassando sorrisi e grida di incoraggiamento. Al quindicesimo non si scherza
più, comincia la salita. Non possiamo esagerare, perciò mi metto davanti al
passo convenuto, con Stefano che mi richiama sempre all'ordine quando sente che
stiamo andando troppo forte. Il pubblico aumenta: siamo al traguardo della
mezza. Tanta musica ed un gruppo di ragazzi in costume che balla il sirtaki. Il
tempo c'è e pure le gambe, ma la salita è ancora tosta e ci accompagnerà almeno
fino al trentunesimo... Stiamo bene e scherziamo tra di noi, intorno le facce
si fanno più scure ed io so che, se starò così alla fine della salita, ci sarà
da divertirsi. C'è un ragazzo che, bandiera tricolore alla mano, ci insegue
urlando lungo le transenne: non scoppio a piangere solo perché in quel momento
uno slavato danese prova a superarmi e lo inchiodo subito con un affondo tutta
tigna. Lo lasciamo lì, a masticare amaro e ci buttiamo all'inseguimento di un
gruppetto di greci dal passo agile. Al trentesimo chilometro c'è il tratto
peggiore, lo so: un cavalcavia con uno strappo davvero duro: poi sarà tutto
piano e discesa fino ad Atene, ma te la devi ancora guadagnare. Le gambe si
fanno pesanti mentre mi avvicino al buio del sottopasso: c'è un rumore
infernale che sale, forse un cantiere vicino. Di colpo dalla luce piena al
buio, non vedo bene ma il rumore si fa fortissimo: ci sono decine di ragazzi,
ognuno con un fusto di latta, che ritmano un forsennato peana di guerra, altro
che cantiere. E' tutto studiato, lì sotto, con l'eco che c'è, sembra di stare
al centro di una battaglia e lo strappo me lo bevo a larghe falcate. Arrivo in
cima e guardo Stefano, ha le gambe pesanti. Gli chiedo se posso andare, mi fa
cenno di sì ed allora faccio come sempre: tiro su la zip della maglia, alzo la
testa e vado. 5 e 10
al km: le gambe vanno che è un piacere mentre
raggiungo un gruppo di ragazzi tedeschi. 4 e 45,
mi sento bene e il ritmo sale mentre mi rilasso. 4 e
30 al km: mangio avido la strada mentre gli applausi sono tutti per me, che
supero sorridente magliette colorate e volti provati. 4 e 15: vado veramente
forte per essere l'ultimo tratto di una maratona: sono alle porte di Atene ed
ora le persone che si assiepano lungo le transenne sono davvero tante. Troppo
breve la salita dell'ultimo cavalcavia e troppo vicino lo stadio per
impensierirmi. 4 e 05...sono ormai a meno di 4
km dal traguardo e appena dietro, riconosco lo
sbuffo di Stefano: è stato bravissimo, mi ha seguito nonostante il male di
gambe ed ora sta viaggiando velocissimo con me, verso lo stadio.
"Riccardo, arriviamo insieme!" Certo amico mio, l'arrivo più bello: non provare a mollare ora e continuiamo a correre veloci, uno accanto
all'altro. Ormai ci siamo: la strada scende e piega a sinistra prima di entrare
allo stadio. Il ruggito del Panathinaikos gremito di una folla festante mi
toglie il fiato; giro secco a sinistra tirandomi dietro il buon Zatopek ed ecco
il traguardo. C'è anche Daniela, non la distinguo ma la sento urlare
proprio mentre le passiamo accanto. Poi corro con gli occhi alla linea finale: la
musica è fortissima, ma più forte è il boato dello stadio che ci saluta mentre
tagliamo il traguardo mano nella mano. Urlo fuori tutta la mia gioia. abbraccio
Stefano e camminiamo sulle nuvole fino alle mani che ci mettono al collo la
medaglia più bella che abbiamo mai visto. Stasera mi aspetta un buon giro di
ouzo...ma ora assaporo fino all'ultima goccia la soddisfazione di aver vinto
una scommessa con me stesso. Forrest ha corso e fino in fondo: ora vedete voi quello che
riuscite a fare...ma non perdete l'occasione di sentirvi più forti dei vostri limiti.
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