venerdì 16 novembre 2012

Sulle orme di Filippide...

Questa, per me, è la foto dell'anno. Un anno intenso, vissuto come sempre in altalena, in cui sono riuscito a far stare dentro tutto, a partire dai miei cuccioli. Certo, senza Daniela non ce l'avrei mai fatta: è lei il centro del mio Universo e come faccia a fare tutto quello che fa, per me, rimane un mistero. Sono partito "in cammino" e sono arrivato di corsa. Per fortuna che c'è la tigna della Conca che mi sostiente...Dedico la foto a quelli (e sono sempre troppi) che m'hanno detto: "ma non ce la farai mai! Che fai, adesso ti metti a correre? Corri Forrest, corri..." Qui sto tagliando il traguardo della Maratona di Atene, insieme a Stefano, o meglio, Zatopek; uno accanto all'altro. Insieme ci siamo macinati qualcosa come 3500 km in 365 giorni, ma l'ingresso nel mitico Panathinaikos gremito di gente festante vale da solo tutte le suole che ho consumato. La mia espressione dice tutto. L'audio non c'è, ma l'urlo è stato grande e tutte le delusioni accumulate si sono fatte piccole piccole, schiacciate sotto il peso di una corsa dura ed unica. Al mio amico Stefano, che con me ha condiviso finora tutte le follie di questo anno "di corsa" dedico la gioia di quel momento unico, per tutte le volte che avrei voluto smettere e lui m'è venuto a prendere sotto casa e per tutte le volte che avrebbe mollato lui ed io l'ho martellato fino allo sfinimento perché non si fermasse. Sono passati molti mesi dall'ultimo mio post, avrei voluto ricominciare a scrivere ma non ho trovato lo stimolo giusto. Ecco, riprendo dal racconto confuso di queste 3 ore e 55 minuti che troverete sotto alla foto... Perché le emozioni, quelle più intense, è giusto condividerle.

E' buio in Piazza del Parlamento; niente guardie con quei buffi zoccoli di legno ma tantissima gente in fila; qui, solo qualche giorno fa, ululavano le sirene e fiammeggiavano le molotov:  stamattina c'è silenzio e le ombre infagottate nelle tute si muovono danzando agili sulle scarpette coloratissime.  E' buio nel pullman; Stefano mi siede accanto, ma non parliamo. Io penso a Daniela, che ho lasciato a dormire in albergo, ai miei cuccioli in Italia e penso alla fatica che mi aspetta, ma la voglia di scendere e muovere le gambe, dopo tanti mesi di allenamenti, è grande. E' buio nel pullman; fuori scorre la periferia di Atene: mi piace leggere i cartelli, mi riporta ai tempi del liceo: con le maiuscole, però, c'ho problemi... Mi guardo intorno: volti tirati e pronti che vengono da tutto il mondo ed io, con la mia bella e fiera scritta Italia sulle spalle della tuta, mi sento piccolo piccolo. L'autista prova a mettere un pò di musica, ma piano piano: lo sa che tanto ognuno segue soltanto il filo dei suoi pensieri. Albeggia appena a Maratona e mentre scendo e mi perdo nel fiume di corridori che si avvicina al punto di ritrovo, guardo lontano, lungo l'orizzonte delle colline: ho i brividi addosso, ma non è il freddo. Migliaia di passi sul selciato ed i ragazzi greci che ci salutano sorridenti, porgendoci bustoni di plastica per ripararci dall'aria pungente del mattino. Il mare multicolore rotola al centro della pianura, ognuno coi suoi riti, coi suoi colori, coi suoi pensieri. Io cerco di immaginare come sia stato anni fa, tanti anni fa, quando da quelle colline sono spuntati urlanti migliaia di Persiani, che in fondo, se siamo qui, è per ripercorrere le orme di Filippide, magari senza scudo ed armatura, ma sempre per annunciare la vittoria contro la fatica, contro la distanza, contro i propri limiti...
Di colpo spunta il sole ed è come l'inizio dello spettacolo. Parte il vocio, prima sommesso, poi sempre più forte: scattano i sorrisi, la tensione si scioglie e comincia la festa. Ci guardiamo confusi con Stefano: chi li ha visti mai tanti corridori tutti insieme. E' inutile che ci prendiamo in giro: siamo tesi. Guardo Stefano che si toglie la tuta e mi dice che è freddo: niente paura amico mio, c'ho pensato io. Con indosso le nostre due candide tute da imbianchino, quelle di carta con tanto di zip, facciamo la gioia di un gruppo di giapponesi fotografanti: sembriamo arrivare direttamente da una centrale nucleare, ma il freddo non passa ed a guardare gli altri avvolti nei sacchi dell'immondizia ci sentiamo i più tecnici e ricchi della compagnia. Ci avviciniamo alle gabbie di partenza, il nostro è il terzo blocco. Gli "elite", i negretti volanti, li vediamo solo un attimo, mentre si stanno riscaldando lungo la pista di atletica accanto alla partenza. Stefano me lo chiede pure se voglio scaldarmi, ma un pò di stretching avanza: c'avremo 42 km e passa per scaldarci a dovere... Gli altoparlanti sparano musica a tutto volume e l'adrenalina sale. Mancano pochi minuti, ci spogliamo ed entriamo al nostro posto. Siamo sulla linea di partenza della Maratona da cui tutto è cominciato, e so che anche il vecchio Zatopek c'ha i brividi, anche se non lo dice. Non ce n'è bisogno. Fuochi d'artificio, il primo colpo di pistola ed il nostro blocco scorre avanti. Ancora fuochi, ancora la pistola dello starter e...tocca a noi. Schiaccio il tasto del cronometro, che i tempi, per le corse lunghe, li tengo sempre io. La strategia è chiara: arrivare bene alla fine, divertirsi e far vedere la scritta Italia sulle spalle della nostra maglietta a più corridori possibile. Corro in tranche per i primi 5 km, parlando con Stefano tutte le volte che posso: scandisco velocità e tempi, ma siamo contratti. Lo spazio è poco e ci teniamo su un lato, pronti a scattare appena ci saranno i primi spazi.  " E' caldo Riccà!" Stefano ha ragione, col sole in faccia, bassi nella vallata di Maratona, la temperatura sale subito verso i 20 gradi e si arranca il giusto. Non sono abituato a vedere ali di folla che sfilano lungo le transenne, che salutano e battono le mani. I primi chilometri mi spiazzano ed a vedere il sorriso di Stefano, capisco subito che anche lui schiaccia a fatica giù nello stomaco un'emozione forte. Poi, di colpo, il gruppo si allunga: è il momento. Guardo Stefano e lui mi fa cenno di sì, così accelero e ci portiamo veloci e leggeri verso il traguardo dei primi 10 km. I bambini allungano le braccia tra le transenne per stringerci le mani e Zatopek non si risparmia: dà "cinque" a tutti, incassando sorrisi e grida di incoraggiamento. Al quindicesimo non si scherza più, comincia la salita. Non possiamo esagerare, perciò mi metto davanti al passo convenuto, con Stefano che mi richiama sempre all'ordine quando sente che stiamo andando troppo forte. Il pubblico aumenta: siamo al traguardo della mezza. Tanta musica ed un gruppo di ragazzi in costume che balla il sirtaki. Il tempo c'è e pure le gambe, ma la salita è ancora tosta e ci accompagnerà almeno fino al trentunesimo... Stiamo bene e scherziamo tra di noi, intorno le facce si fanno più scure ed io so che, se starò così alla fine della salita, ci sarà da divertirsi. C'è un ragazzo che, bandiera tricolore alla mano, ci insegue urlando lungo le transenne: non scoppio a piangere solo perché in quel momento uno slavato danese prova a superarmi e lo inchiodo subito con un affondo tutta tigna. Lo lasciamo lì, a masticare amaro e ci buttiamo all'inseguimento di un gruppetto di greci dal passo agile. Al trentesimo chilometro c'è il tratto peggiore, lo so: un cavalcavia con uno strappo davvero duro: poi sarà tutto piano e discesa fino ad Atene, ma te la devi ancora guadagnare. Le gambe si fanno pesanti mentre mi avvicino al buio del sottopasso: c'è un rumore infernale che sale, forse un cantiere vicino. Di colpo dalla luce piena al buio, non vedo bene ma il rumore si fa fortissimo: ci sono decine di ragazzi, ognuno con un fusto di latta, che ritmano un forsennato peana di guerra, altro che cantiere. E' tutto studiato, lì sotto, con l'eco che c'è, sembra di stare al centro di una battaglia e lo strappo me lo bevo a larghe falcate. Arrivo in cima e guardo Stefano, ha le gambe pesanti. Gli chiedo se posso andare, mi fa cenno di sì ed allora faccio come sempre: tiro su la zip della maglia, alzo la testa e vado. 5 e 10 al km: le gambe vanno che è un piacere mentre raggiungo un gruppo di ragazzi tedeschi. 4 e 45, mi sento bene e il ritmo sale mentre mi rilasso. 4 e 30 al km: mangio avido la strada mentre gli applausi sono tutti per me, che supero sorridente magliette colorate e volti provati. 4 e 15: vado veramente forte per essere l'ultimo tratto di una maratona: sono alle porte di Atene ed ora le persone che si assiepano lungo le transenne sono davvero tante. Troppo breve la salita dell'ultimo cavalcavia e troppo vicino lo stadio per impensierirmi. 4 e 05...sono ormai a meno di 4 km dal traguardo e appena dietro, riconosco lo sbuffo di Stefano: è stato bravissimo, mi ha seguito nonostante il male di gambe ed ora sta viaggiando velocissimo con me, verso lo stadio. "Riccardo, arriviamo insieme!" Certo amico mio, l'arrivo più bello: non provare a mollare ora e continuiamo a correre veloci, uno accanto all'altro. Ormai ci siamo: la strada scende e piega a sinistra prima di entrare allo stadio. Il ruggito del Panathinaikos gremito di una folla festante mi toglie il fiato; giro secco a sinistra tirandomi dietro il buon Zatopek ed ecco il traguardo. C'è  anche Daniela, non la distinguo ma la sento urlare proprio mentre le passiamo accanto. Poi corro con gli occhi alla linea finale: la musica è fortissima, ma più forte è il boato dello stadio che ci saluta mentre tagliamo il traguardo mano nella mano. Urlo fuori tutta la mia gioia. abbraccio Stefano e camminiamo sulle nuvole fino alle mani che ci mettono al collo la medaglia più bella che abbiamo mai visto. Stasera mi aspetta un buon giro di ouzo...ma ora assaporo fino all'ultima goccia la soddisfazione di aver vinto una scommessa con me stesso. Forrest ha corso e fino in fondo: ora vedete voi quello che riuscite a fare...ma non perdete l'occasione di sentirvi più forti dei vostri limiti.








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